Ciao amici e amiche! Oggi, 22 marzo 2021, il mio romanzo “Nessuno mi può giudicare” compie esattamente un mese, e ho pensato di festeggiare con voi condividendo alcuni pezzi di scene tagliate, che non sono state inserite nella versione finale!Prima di lasciarvi agli spezzoni, alcuni disclaimer per voi:
Bene, vi auguro una buona lettura, anche se sono solo pezzi a caso tagliati via dalla storia! Un abbraccio e grazie di esserci, Paola CAPITOLO TAGLIATO: “festa con Hunter”Motivo della rimozione dal romanzo: questo capitolo è stato scartato per dividerlo in tanti pezzi e aggiungerli ad altri capitoli già scritti. «Mi vuoi dire dove cavolo stiamo andando?» Hunter fa ruggire il motore della Ford Mustang. Percorre la superstrada che costeggia il mare come se la conoscesse a memoria. «Banksmeadow. Non li leggi i cartelli?» «Grazie, potevo arrivarci da sola. È una zona industriale, perché mi stai portando lì? Vuoi farmi lavorare?» «Lo vedrai.» Non è per niente rassicurante. Mi schiaccio contro il sedile e sbuffo. È tipico di me, lasciarmi coinvolgere in queste situazioni scomode. Che mi è saltato in mente? Abbasso gli occhi e osservo Piccole donne, posato sulle mie gambe nude, e i fiori di plastica che ho infilato tra le pagine. Chissà quanto gli è costata questa edizione del romanzo, che di certo non è tra le più economiche. Strategia per portarmi a letto o meno, non posso fingere di non avere apprezzato il regalo. Hunter batte le mani sul volante a ritmo della canzone che sta passando alla radio. Il profilo del suo viso è marcato, le labbra sembrano ancora più carnose. Lo fisso, la lingua stretta tra i denti, finché non si volta di scatto e scoppia a ridere. «Mi stai studiando?» prorompe. «Hai paura che possa interrogarti per vedere se sai la lezione a memoria?» «Lo sai che sei davvero supponente? Non ti sopporto, Dio!» «Puoi chiamarmi solo Hunter.» Assottiglio lo sguardo e mimo una risatina forzata. «Sei più egocentrico di Willy Wonka.» Lui schiocca le dita. Non ho alcun dubbio che riesca a cogliere qualsiasi tipo di riferimento letterario. Sono sicura che se gli nominassi il più sconosciuto dei libri, lo conoscerebbe. «Può darsi. In fondo La fabbrica di cioccolato è uno dei romanzi con cui sono cresciuto.» Solleva la maglietta e con un cenno del capo indica un tatuaggio piccolo, accanto al costato, infilato tra decine di altre linee colorate. Raffigura una delle famose tavolette di cioccolato Wonka, mezza scartata, con all’interno un biglietto vincente dorato. Mi perdo lungo la linea dei suoi addominali e scendo dove i muscoli si scontrano con la chiusura dei jeans. I centimetri di pelle libera da qualsiasi tipo di disegno sono pochi. Se continua con questo ritmo, tra meno di dieci anni sarà completamente ricoperto d’inchiostro. Sebbene io non sia un’amante dei tatuaggi, devo ammettere che su Hunter sono perfetti. Sarà perché ognuno di essi ha un significato, perché sono legati alla letteratura e perché mi stupisce che un ragazzino di vent’anni sia così appassionato di classici, ma non riesco a smettere di osservarli. Sì, be’, poi c’è il fatto che il suo fisico sembra scolpito nel marmo, ma è tutta un’altra storia. Ho la gola secca. «Miss Nolan, hai capito quello che ti ho appena detto?» Sbatto le palpebre una decina di volte e ritorno sul suo viso. «Certo. Sì, sì.» Annuisco. Non ho sentito una parola. «Sono d’accordo con te.» «Ah, perfetto. Sapevo che saresti stata della mia stessa idea. Avanti, vieni qui.» «Qui? Lì?» Boccheggio. «Cosa?» Hunter mi sorride con il suo solito ghigno insolente. «Ti ho chiesto di farmi un pompino mentre guido. Non per metterti fretta, ma io sono già pronto.» Sto per commettere un omicidio. Prendo un respiro profondo, mi tranquillizzo, mi rilasso. Faccio yoga mentale. Non allungherò le mani, non gliele stringerò intorno al collo, non lo strangolerò. Lui sopravviverà e io non finirò in carcere. Semplice, facile, intuitivo. «In realtà ti ho fatto una domanda su Willy Wonka.» Hunter svolta in quella che sembra essere un’immensa piazza di cemento, ricolma di container vuoti. «Ma eri troppo concentrata sui miei tatuaggi per sentirla.» Io lo uccido. Prima o poi lo uccido davvero. «Ti sfido a stare mezz’ora senza fare allusioni sessuali di alcun tipo.» Lo pungolo. «Potresti scoprire che ci sono un sacco di argomenti di cui parlare.» «Così mi togli tutto il divertimento. È bello mettere a disagio le bacchettone come te.» «La vuoi piantare?» Hunter si ferma accanto ad alcuni tubi d’acciaio legati e impilati, spegne l’auto e spalanca la portiera. Deve piantarla di prendersi gioco di me. Sbatto il romanzo e i fiori sui sedili posteriori, esco dall’abitacolo e lo raggiungo. Si è avvicinato a un muretto scrostato e si è acceso una sigaretta, che fuma con fare compiaciuto. È arrivato il momento di fargli vedere chi comanda. Senza un briciolo di preavviso gli tolgo la cicca di bocca, la butto a terra e la calpesto con il tacco dei sandali. Voglio che sia il preludio di quello che succederà se continuerà su questa linea. «La prossima volta che mi chiami bacchettona o frigida saranno le tue palle a fare questa fine.» Lui alza le mani, i bicipiti tesi e la bocca incurvata all’insù. «Che paura.» «Non sono puritana come credi, Hunter. Dovresti smetterla di giudicarmi.» «Nemmeno io sono un cattivo ragazzo come credi, Sienna.» Tengo gli occhi nei suoi. Sono così belli, così chiari e profondi, che è impossibile non annegarci dentro. Resto in attesa, come quando respiro l’odore della terra bagnata un attimo prima che inizi a piovere. Sento un clang nel petto. È appena successo qualcosa al mio cuore. «Che cosa ci facciamo in un parcheggio?» Non so perché mi abbia portata qui, ma non è rassicurante. «Vuoi rapinarmi e buttarmi in acqua?» «Vieni, fidati di me.» Hunter mi tende la mano. L’afferro titubante e le nostre dita si intrecciano. Le mie, sottili e curate, con le sue, tatuate e circondate di anelli. Il vento salmastro che arriva dal mare gli scompiglia i capelli. Non so se sono impazzita del tutto o se quella che sento arrivare dal marasma di container, qualche centinaio di metri più in là, sia musica. Mi sto ficcando in un guaio. Ho la calamita per le brutte situazioni. Provo a opporre resistenza, un gesto che non sembra fare altro che sollazzare Hunter. Mi aggira, mi copre gli occhi con le mani e spinge il petto contro la mia schiena, costringendomi ad avanzare alla cieca. «Cammina» sussurra con le labbra posate al mio orecchio. Ho i brividi e non so se siano di paura o piacere. «Ancora qualche metro.» «È uno scherzo? Perché io li odio, gli scherzi.» «Chissà, magari quando lo vedrai ne rimpiangerai uno.» «Non è divertente.» All’improvviso si stacca da me e mi toglie le dita dal viso. «Benvenuta nel più illegale dei locali a cielo aperto: il Rock On Banksmeadow.» Dalla gola mi esce un sibilo. «Porca miseria.» Cumuli e cumuli di container colorati fanno da muro di cinta a uno spiazzo di cemento armato, al cui centro è stato allestito un palco raffazzonato, con luci intermittenti ed energia elettrica rubata da una centralina mezza distrutta. Accanto a un container aperto c’è un chiosco di fortuna, fatto di lamiere di ferro e bancali, dove campeggia la scritta FREE DRINK (& FREE HANGOVER), tracciata con la bomboletta spray. Oltre le macchine per il sollevamento dei box, c’è la Botany Bay. Ci sono le luci delle navi, la città che si specchia nel mare all’orizzonte, il cielo che sembra tuffarsi nell’acqua. Dire che questa specie di arena per concerti è clandestina è farle un complimento. «Questo terminal per container è abbandonato, la ditta che lo gestiva è fallita. Così ho deciso di trasformarlo nel mio personale paradiso rock n’ roll.» Hunter spalanca le braccia e cammina all’indietro. Alle sue spalle, qualcosa come duecento persone cantano, ballano e bevono a ritmo della canzone che fuoriesce da alcuni vecchi amplificatori. Che fine hanno fatto le feste in casa, dove al mattino si faceva la conta dei vasi spaccati e dei ragazzi in coma etilico? Gli anni passano, le mode cambiano, bla bla bla. Sono finita a un rave party, ma senza musica techno. «Hai organizzato tutto tu?» «Sono abbastanza popolare al Fort Street, la gente ci tiene a venire alle mie feste.» «È una cosa illecita. Se la polizia lo scoprisse? Finiresti in galera. Non ho intenzione di restare qui cinque… Oh, mio Dio, stanno suonando Back In Black degli AC/DC!» Allungo il collo verso il palco, dove la band si sta esibendo. «È la mia canzone anni rock preferita!» «Perfetto, perché questo è il rock, piccola.» «Non chiamarmi piccola, è ridicolo.» Dove ero rimasta? Stavo insultando Hunter per avere infranto la legge. Lancio qualche occhiata nei dintorni, quel tanto che basta per rendermi conto di essere circondata da ragazzini appena maggiorenni, e non è confortante. Sono passata dalla cena al Bennelong con Brandon, in cui ero la più giovane, alla festa illegale di Hunter, in cui sono la più vecchia. È questa la differenza che c’è nel frequentare due uomini tanto diversi? «Cosa dicevi a proposito di non avere intenzione di rimanere qui?» «Ci tengo alla mia fedina penale pulita, non mi farò beccare a violare la proprietà privata di un’azienda.» Mi trema una palpebra. La band ha iniziato a suonare Don’t Stop Me Now dei Queen. Questa è corruzione. «Sei entrato nel mio account di Spotify? Hai sbirciato la mia playlist? Hai detto a quei ragazzi sul palco di portare tutti i miei pezzi preferiti?» Hunter ridacchia. «Ti stai per scoppiare la vena che hai al centro della fronte. Divertiti, Miss Nolan, siamo qui per questo.» «Siamo qui perché tu mi ci hai trascinata.» «Bene, quindi perché non approfittarne?» Certo che con l’impianto delle luci ci hanno saputo fare. Sono intermittenti, a ritmo di musica, e anche gli altoparlanti non gracchiano poi così tanto. Se Hunter si applicasse nello studio allo stesso modo in cui s’impegna con la letteratura e il rock, sarebbe già all’università e, forse, alla scuola d’arte. Non capisco questa sua ripicca nei confronti del padre. Insomma, quale genitore non vorrebbe il meglio per i propri figli? Mi sento un po’ fuori luogo, come lo ero al Mojo Record. Appunto per l’articolo: la moda post-adolescenza. Colori scuri, sfumature che vanno dall’antracite al carbone, passando per il grigio Varley e il vinaccia. Ma chi ha voglia di fare ragionamenti di questo genere nel bel mezzo di una festa? «Shark!» Una voce squillante alle spalle di Hunter lo costringe a voltarsi. Nel farlo, il suo orecchino a forma di crocifisso capovolto ciondola nell’aria. A chiamarlo è stata una ragazza con la testa divisa in due da colpi precisi di rasoio. Il lato sinistro, completamente rasato, è coperto da un tatuaggio maori. Quello destro invece ha i capelli acconciati in una treccia molle. Con lei c’è un tizio con la maglietta dei KISS. Tra le mani hanno due bottiglie di birra e sembrano elettrizzati. La tizia rifila un pugno sul petto a Hunter. «Shark, questa volta hai dato il meglio.» Shark? Ma sì, giusto, lo squalo tatuato sul suo collo. «Questa festa spacca.» «Debra, Callum, è bello vedervi sobri.» «Ancora per poco, amico.» «Cercate di andarci piano, non voglio riaccompagnarvi a casa mentre vomitate sulla gente dal finestrino della mia macchina.» Mi va di traverso la saliva e non riesco a trattenere un colpo di tosse. Purtroppo i due tizi si accorgono che esisto. Debra allunga il collo e mi squadra dalla testa ai piedi per una decina di volte, poi sposta gli occhi su Hunter e lo guarda in tralice. Sembra stia trattenendo una grassa risata. Favoloso, perché l’unica che dovrebbe ridere, qui, sono io. Chissà che cosa le suscita così tanta ilarità. Callum sbadiglia e mi punta l’indice addosso. «Dov’è che ti ho già vista?» «Era al Mojo Record» rimbecca Debra, poi si rivolge a me. «Mi ricordo del tuo vestito rosso e dell’espressione schifata con cui guardavi tutti.» «Mi spiace, quella è stata davvero una serata orrenda e…» «Tutti tranne Hunter.» Trasalisco. «Prego?» «Lui lo guardavi come se volessi fartelo sul palco.» «Cioè, in pratica come lo sta guardando ora?» Salta su Callum. «Esatto, Cal.» Annaspo, attonita davanti ai due amici che sorridono con finta innocenza. Hunter, al mio fianco, è parecchio divertito dalla situazione. Non ho neanche la forza per ribattere e difendermi. Che senso avrebbe? Darei loro altro materiale per prendersi gioco di me. All’improvviso Debra mi inchioda con lo sguardo. «Ma è vero che hai trent’anni?» Che diavolo dovrei risponderle? È vero e non dovrei essere qui? È imbarazzante che a trent’anni una donna sia a una festa illegale a Banksmeadow? Tutte cose che già so, e che sa anche lei. Annuisco in maniera robotica e mi stringo nelle spalle. Callum emette un verso strozzato, a metà tra un’esclamazione e una risata. «Porca puttana, Shark, è una MILF!» Recupero la voce. «Tecnicamente no. Non ho figli.» «Ma che cazzo ci fa qui una come te?» Domanda di riserva? Hunter posa le mani sulle spalle dell’amico e gli dà anche un buffetto sulla guancia. «Senti, perché non vai a prendere qualcosa da bere per noi? Miss Nolan, cosa desideri?» Signore, grazie per avere creato i cocktail. «Un Harvey Wallbanger senza ciliegina e con soli due cubetti di ghiaccio.» Callum mi ride in faccia. «Ehi, ehi… frena. Non siamo in centro a Sydney. Birra o rum?» «Rum? Così, a secco?» «E come vorresti prenderlo? Iniettandotelo in vena?» «Va bene, vada per la birra.» Santo cielo, io odio la birra. «Se non c’è altro.» Debra mi fissa, lascia andare un grugnito che vuole essere una risata di sfottò, e poi gira sui tacchi. Devo andarmene. Al diavolo il lavoro. Posso inventarmi qualcosa per il terzo punto del piano di Poppy, non c’è bisogno di testare le capacità sessuali di Hunter. Sono certa che abbia tutto al posto giusto. Fingerò di avere bisogno della toilette e ne approfitterò per scappare. Chiamerò un taxi, gli dirò di fare in fretta e intanto resterò nascosta. Dietro una pila di tubi d’acciaio, in un box abbandonato, da qualche parte. «Dov’è il bagno?» Hunter solleva un sopracciglio e poi scoppia a ridere. «Scendi i gradini, là in fondo, e arriverai direttamente alla discesa che dà sul mare. Puoi anche farti una nuotata, se vuoi.» Questa non ci voleva. Per levare le tende dovrei per forza tornare in mezzo alla festa. «Okay, me la tengo.» «Senti, perché invece non ti togli il palo dal culo?» «Chiedo scusa?» «Sei a una festa e tu cosa fai? Te ne stai lì ingessata a schifare tutto e tutti.» Prima che possa rispondere, Callum torna con due bottiglie di Foster’s. Ne porge una a Hunter e una a me, non senza avermi regalato un’occhiata perplessa. Lo guardo allontanarsi, il passo strascicato di chi ha già una quantità non indifferente di alcool in corpo. «Non è il tipo di serata a cui sono abituata» mi giustifico mentre ingoio un sorso di birra. È gelida, amara e mi provoca un brivido di disgusto. In assenza di altro sono costretta ad accontentarmi. «Dovresti saperlo, ormai.» «Hai dimenticato come ci si diverte?» «Senti, Hunter, facciamo una cosa. Ora io mi siedo lì, su quel pezzo di lamiera d’acciaio, e ci resto finché tu non avrai finito di bere, fumare e scopare con chiunque, okay? Fammi un cenno quando arriva il momento di tornare a casa.» Lui estrae il pacchetto di sigarette, ne prende una e l’accende con fare da padrone dell’universo. «Sai qual è il problema?» ghigna sputando il fumo verso l’alto. «Hai paura.» «L’unica cosa che mi fa paura è pagare le tasse.» «Vorresti lasciarti andare, ma non sei capace. Che c’è, non sai ballare?» Spero stia scherzando. Io ero la tredicenne che inventava coreografie davanti allo specchio. Ho passato l’adolescenza a provarle in camera per paura di essere presa in giro. Il corso extrascolastico di danza sarebbe stato un’inutile tortura psicologica. «Se c’è una persona che sa ballare, in questa triste colata di cemento, sono io. È che non mi va.» Hunter fa roteare il piercing con la lingua. «Cos’è che ti terrorizza? L’idea di mostrare chi sei davvero? Di togliere la maschera da donna invincibile?» «Sarei ridicola.» «È il giudizio degli altri che ti spaventa? Dai così tanta importanza al parere degli sconosciuti?» Non mi va di discutere con lui, questa non è una trattativa e nemmeno una seduta dall’analista. «È facile per quelli come te. Nessuno ti ha mai chiamato scheletro, scorfano o scherzo della natura. Hai mai rinunciato al ballo di fine anno per paura di diventare lo zimbello della scuola? Tu sei il re del liceo, ma che ne sai di cosa passano gli altri? Di cosa passano tutte le Carmencita Velasco di questo mondo?» Mi siedo su un gruppo di bancali abbandonati e osservo i ragazzi ballare in mezzo allo spiazzo. Non c’è alcun tipo di bullismo a questa festa, tutti si divertono, ridono e saltano insieme a tempo di musica. Potrei alzarmi, raggiungerli, mettermi a danzare al centro della pista come ho fatto decine di volte in discoteca, aggrappata a Poppy e Ariane. Ma questa sera è diverso, perché la presenza di Hunter tira fuori tutte le mie insicurezze. Si sistema accanto a me e l’odore di nicotina mi investe. «Le loro prese in giro ti hanno impedito di diventare quella che sei?» «Cosa sono? Una fallita?» Una fallita che non è neanche riuscita a tenersi il posto di lavoro, precisamente. «Una trentenne che gioca a fare la ragazzina?» «È così che vedi te stessa?» È molto peggio. Tutto quello che ho costruito negli ultimi dieci anni è andato a catafascio, mi sono ridotta a sperimentare su me stessa l’argomento di un articolo di giornale per riavere una misera scrivania a Temptation, come accidenti dovrei vedermi? Sarei disposta a cedere l’anima al diavolo in cambio di un varco temporale per tornare a un mese fa. Mando giù un bel po’ di birra e lascio che mi bruci l’esofago. «Vedo una bugiarda» confesso. Una che sta usando due persone per scopi di ricerca sulla differenza d’età. «Una bugiarda senza via d’uscita. Il mio aspetto fisico non ricorda più uno scorfano, o uno scherzo della natura, ma sono ancora quella sedicenne impacciata che non è… non è abbastanza. Non sono abbastanza per essere richiamata da un uomo. Non sono abbastanza per essere una scrittrice, quindi ho ripiegato sul giornalismo, ma non sono comunque abbastanza per ottenere una promozione. Quindi sì, le prese in giro dei miei compagni di scuola mi hanno impedito di diventare quella che sono. O forse avevano ragione a dire che non valgo niente.» Osservo le luci colorate che rimandano strani ghirigori sul cemento. Un paio di ragazze si divertono a calpestarle prima che si spostino, balzellano e ridono divertite, si abbracciano, bevono rum da bicchieri di plastica e sembrano davvero felici. Le lacrime mi pizzicano gli occhi. Odio buttare fuori tutto, odio il bisogno di decomprimere e odio averlo fatto di fronte a Hunter. Faccio il conto alla rovescia per l’ennesima battuta a sfondo sessuale, ma le parole che aspetto non arrivano. L’unico suono che sento è quello della canzone che sta finendo. «Forse è vero.» Hunter mi cinge il mento con le dita e mi costringe a guardarlo. Mi focalizzo sull’anello che gli circonda il labbro carnoso, poi mi sposto sui suoi occhi chiarissimi, resi ancora più intensi dai bagliori delle luci artificiali. «Magari non sei abbastanza.» Mi soffia sulle labbra, e un brivido mi attraversa. «Non sei abbastanza per l’agente che ha rifiutato il tuo manoscritto, che non ha saputo vedere il tuo talento. Non sei abbastanza per la tua direttrice, che non ha riconosciuto il tuo impegno. E non sei abbastanza per l’uomo che non ti ha richiamata, che non si è accorto di quanto tu fossi speciale.» «Avrei voluto sentirmelo dire quindici anni fa.» «Sienna, non credere mai di non essere abbastanza.» Hunter è serio, il suo pollice mi sfiora la guancia, il mio respiro si blocca in gola. «Per ogni persona che pensa questo di te, c’è n’è una che invece è convinta del contrario. Devi circondarti di chi sa che vale la pena richiamarti, promuoverti o accettarti. Sempre.» Sto prendendo lezioni di vita da un ventenne? Davvero? Alzo gli occhi al cielo e spero che le lacrime non mi tradiscano. Devono rimanere dove sono, confinate tra le ciglia e le palpebre. La vista annebbiata non mi impedisce di vedere le stelle che ricoprono la Botany Bay. Non so da dove Hunter abbia tirato fuori questo discorso, ma ha trovato la chiave giusta per aprire il mio cuore. È come riprendere a respirare dopo essere stata sott’acqua fino a sentire bruciare i polmoni. «Non sono un fottuto agente letterario e neanche il direttore di una rivista, quindi non posso darti grandi consigli in merito.» Hunter osserva la bottiglia di birra vuota, la lancia e fa canestro in un fusto arrugginito poco distante. «Però sono un uomo.» «Sei un ragazzino.» «Un ragazzino, come vuoi.» Alza le mani e sogghigna. «Il tipo che non ti ha richiamato è un imbecille. Ha perso un’occasione.» Ecco, ci risiamo, la tregua non è durata molto. «L’occasione di farsi una bella scopata? Non tutti hanno il tuo stesso obiettivo, Hun…» «L’occasione di stare con una ragazza intelligente, divertente e ironica. A volte è un po’ testarda e ha il giudizio facile su ciò che non conosce. Potrebbe sembrare impaurita dai cambiamenti, perché ama restare nella sua comfort zone, ma l’affascina tutto ciò che è diverso da quello a cui è abituata. Ho intenzione di scoprire di più. Sono sicuro che abbia altre qualità nascoste.» Hunter si lascia andare all’indietro e si corica sul bancale, le braccia abbandonate dietro alla testa e lo sguardo fisso sul cielo scuro. La sua lingua gioca con il piercing. Resto immobile a fissarlo, le mani che tirano l’orlo del vestito, incapaci di stare ferme, il respiro ridotto a un rantolo impreciso. Le sue parole hanno l’effetto di un esplosione nucleare. Non riesco a gestire gli effetti collaterali, non so come contenere le fiamme, non voglio che le emozioni mi contaminino. «Mi dispiace averti accusato di essere superficiale. È che pensavo fossi così.» Lui si lascia scappare una risata debole. «Solo perché mi piace scopare e lo dico senza problemi?» «Be’, anche per quello.» «A te fa schifo, per caso?» Spalanco le palpebre. Perché deve sempre mettermi in difficoltà? Glisso sull’argomento. «Comunque tu sei l’idolo del liceo, il re del ballo, il ragazzo pieno di tatuaggi a cui tutte regalerebbero la prima volta. Sei un cliché vivente.» Hunter si rimette a sedere e passa le mani tra i capelli, spostandoli all’indietro. «Questa è la cosa più brutta che mi abbiano mai detto.» Mette un finto broncio. «Cazzo, mi hai appena distrutto con tre frasi.» «Vuoi dirmi che non sei uno scopatore seriale di studentesse vergini?» «Sentiamo: a quale personaggio letterario mi paragoneresti?» «Il protagonista di After.» Hunter stringe le palpebre e mi osserva di striscio. Forse mi vuole morta. Un altro sguardo così e rischia di polverizzarmi. «E io che credevo di essere la versione moderna di Mr Darcy.» «Oh, be’, non hai tutti i torti. In quanto a egocentrismo vi somigliate.» «Tu sì che sai come farmi sentire un coglione. Però devo smentirti, Miss Nolan: l’idolo del Fort Street è Johnny Harris, il capitano della squadra di baseball. Per la cronaca, io sono una merda con la mazza. L’anno scorso sono stato eletto re del ballo, ma solo perché il mio compagno di banco ha truccato l’elezione. È vero, ho un sacco di tatuaggi, ma purtroppo nessuna ragazza mi ha mai regalato la verginità. La mia prima volta è stata con una tipa del college che mi ha spezzato il cuore e morso l’uccello mentre mi faceva un pompino. Allora, ti sembro ancora un… com’è che mi hai definito? Cliché vivente?» «Direi di no.» Finisco la birra, la lancio nel fusto e ovviamente non faccio canestro. Il vetro va in frantumi a terra. Benissimo. «Ti ha fatto male?» «Stai scherzando? Se stringeva ancora un po’ me lo staccava, Cristo!» La saliva mi va di traverso. «Parlavo di quando ti ha spezzato il cuore, non del tuo arnese.» Hunter posa i gomiti alle ginocchia e giochicchia con un braccialetto di pelle che porta al polso sinistro. «Avevo sedici anni, lei diciannove, credevo che saremmo stati insieme per tutta la vita. In realtà aveva già un fidanzato a Canberra, che tradiva con me ogni volta che tornava a Sydney. Quando l’ho scoperto ci siamo lasciati.» «Brutta razza, i traditori.» Se ripenso a Jackson e a ciò che ha fatto ad Ariane, mi viene voglia di spaccare qualcosa. «Quello stronzo di mio padre è il portabandiera dell’intera categoria. Ho giurato di non diventare come lui.» Eppure Alan Bailey, l’uomo bonario che leggeva il giornale di fronte a una tazza di caffellatte, non mi ha dato l’idea di essere né un pessimo genitore né un fedifrago. Però, visto quanto sono incompetente in fatto di “prime impressioni”, non posso garantire che sia la verità. Ad ogni modo Yuka, la madre di Hunter, deve averlo perdonato. Sembravano molto felici, in una sintonia invidiabile. «Non vuole che frequenti la scuola d’arte, ha tradito tua madre e non supporta le tue scelte.» È un argomento delicato e non so quanto spingermi in là. Solo solo di essere parecchio lontana dall’articolo e da ciò che dovrei fare per portarlo a termine. «Da come ne parli sembra un mostro. Forse è solo apprensivo e pieno di aspettative.» L’espressione di Hunter s’incupisce, e così rabbuiato è ancora più bello. I suoi tratti sono marcati, la mascella squadrata è più accentuata, è come se fosse un disegno e tutti gli spigoli del suo viso fossero stati ripassati con la matita. Scosta il ciuffo di capelli dietro l’orecchio, una ciocca s’incastra nel pendente e la libera con un gesto veloce. Guardo le dita muoversi, i tendini scalfire la pelle, riconosco sul dorso della mano un tatuaggio legato a La metamorfosi di Kafka. Riesce a destabilizzarmi, mette tutto in discussione, perché è diverso da come dovrebbe essere. Troppo diverso. Sarebbe più facile se fosse davvero un cliché vivente. Non dovrei combattere contro me stessa una guerra che, da qualche parte, so di avere già perso. «Ti va di prendere altre due birre e fare un giro?» La sua voce è più roca, più pesante, sembra abbia un groppo in gola che non vuole andare giù. «C’è troppa confusione qui.» «Ti devo confessare una cosa.» «Sei già innamorata di me?» Inspiro. Espiro. Maledetto ventenne egoriferito. «Mi fa schifo la birra» sputo. Lui incrocia le braccia al petto e solleva un sopracciglio. Ricorda vagamente Mick Jagger dei Rolling Stones ai tempi d’oro, ha la stessa strafottenza. «Certo, e l’hai dimostrato bevendola tutta.» Con il pollice indica l’aria alle sue spalle. Poco più in là giacciono i cocci della bottiglia che ho spaccato nel tentativo di fare canestro. «Era per essere gentile, mi è stata offerta.» «Vedo di prenderti qualcosa di diverso. Aspettami qui.» Si allontana con le mani ficcate nelle tasche dei jeans. Ne approfitto per guardargli il sedere, che non fa mai male, e poi vado a raccogliere il vetro rotto. Butto tutto nel fusto arrugginito, controllo che non ci siano schegge con cui qualcuno potrebbe farsi male e quando alzo la testa Hunter è di fronte a me. Nella mano sinistra tiene una Foster’s e nella destra una bicchiere di quello che sembra essere tè freddo. Senza dire una parola ci allontaniamo dalla festa, dalle casse che sparano Poison di Alice Cooper a tutto volume. Costeggiamo una fila di container abbandonati tra macchine per il sollevamento e arpioni di ferro, finché non arriviamo alla ex zona di attracco delle navi cargo. Dall’altro lato della baia, un aereo atterra sulla pista del Sydney Airport. «C’è una grande differenza tra diventare padre ed esserlo.» Hunter tiene gli occhi puntati in avanti, sulle luci della torre di controllo oltre l’oceano. «Un padre non ti mette al mondo e basta. È il tuo punto di riferimento, l’uomo a cui vorresti somigliare quando sarai grande, la tua ispirazione quotidiana. È quello che ti dà le caramelle di nascosto, che ti difende quando mamma ti sgrida, che torna tardissimo dal lavoro ma non rinuncia a giocare con le macchinine anche se sta crollando dal sonno. È quello che ti dà consigli che ti serviranno per tutta la vita, a cui ripenserai dopo anni di fronte alle difficoltà.» Annuisco e sorrido, perché questa è proprio la descrizione di Kip, mio papà. «Un padre non dovrebbe essere quello che ti lascia solo alla recita di Natale. Quello che non viene al tuo compleanno, ma ti regala uno stupido videogioco pensando che possa sostituire la sua presenza. Quello che buca la presentazione del tuo progetto di arte perché non la ritiene importante. Quello che non crede in te, nei tuoi sogni, che ti ritiene un idiota e vorrebbe che fossi come lui: un bastardo materialista con un lavoro che lo fa sentire invincibile.» Mi volto per guardare Hunter, ma lui non se ne accorge e continua a fissare l’orizzonte. C’è così tanta sofferenza nelle sue parole che non so come comportarmi. Vorrei dirgli che mi spiace, ma sarebbe solo una stupida frase di circostanza. Gli trema la voce, gli tremano le mani, ha perso completamente il suo solito modo di fare scanzonato. Non so neanche se abbia mai detto queste cose a qualcuno, se ne abbia parlato con la madre, con uno psicologo, con gli amici, con chiunque altro. Sono spiazzata. «Per lui sono solo un errore.» «Un errore?» sussurro con un filo di voce. È una cosa orribile. Hunter si gira di scatto e m’inchioda con i suoi occhi tenebrosi. «È quello che mi ha detto l’ultima volta in cui ho provato a spiegargli perché mi piace disegnare piuttosto che fare equazioni. Molti dei miei tatuaggi li ho creati io.» Per un po’ ci accompagna solo il rumore dei nostri passi. Mollo il bicchiere di tè mezzo vuoto su un blocco di cemento e una folata d’aria lo fa cadere. Il liquido si espande, la polvere lo assorbe finché non resta altro che una macchia scura. Hunter è al limitare del molo, accanto a una vecchia bitta scrostata, e la città si specchia nelle sue iridi. Il vento tiepido di gennaio gli scompiglia i capelli, porta via il suo odore e gli regala il profumo salmastro del mare. Di colpo tira indietro il braccio, prende la mira e lancia la bottiglia di birra in mezzo all’oceano. Scommetto che vorrebbe fare così anche con il suo passato, gettarlo in acqua e vederlo soffocare tra le onde. Ora capisco perché ha scopamiche e non fidanzate. Come puoi riuscire ad amare quando non hai ricevuto altro che disprezzo? Lo affianco e i nostri corpi si toccano. In qualche modo la mia mano sfiora la sua, le dita si intrecciano, i respiri si sincronizzano. Poso il capo alla sua spalla e resto così, a chiedermi perché la mia pelle sia contro la sua, a cercare una risposta che non esiste. Hunter si schiarisce la voce. «E come se non bastasse, i suoi tentativi di rimediare sono ridicoli. Crede che io sia così vuoto da avere dimenticato tutto quello che mi ha fatto mancare. Trovare il disegno che gli ho regalato per la festa del papà nel cestino della spazzatura, insieme ad altre cartacce inutili, non è il massimo. So che non l’ha fatto apposta, ma tu spiegalo a un bambino di nove anni.» Mi sento così in colpa per averlo giudicato un idiota pieno di sé che ho voglia di buttarmi dal molo. Mentre valuto l’ipotesi di farlo, sento la sua mano liberarsi dalla stretta della mia e risalire lungo la schiena. S’intreccia ai miei capelli, le dita sfiorano la cute, accarezzano la nuca, mi invitano a flettere il capo. «E Rosie? Tua sorella?» «Con lei è un padre modello. Le dà tutto ciò che ha tolto a me, ed è un bene, perché se soffrisse come ho sofferto io non potrei sopportarlo.» In effetti da quel poco che ho visto durante la colazione, c’era tanta complicità tra lei e Alan. Sospiro e mi abbandono al palmo della sua mano. «Rosie è un bel tipo. Interessante la faccenda dell’elenco.» «Si diverte a tenere conto delle ragazze con cui esco.» «Chissà se anche loro lo trovano divertente.» «Non saprei, visto che il 70 percento sono nomi aggiunti da Rosie e dalla sua fantasia sfrenata. Credevi davvero che fossi già uscito con un’altra Sienna?» Hunter mi guarda, sorride, arriccia un po’ il naso, torna serio e schiude le labbra perplesso, in attesa che io dica qualcosa. Le mie parole si perdono da tra il cuore e la gola. «Sto distruggendo l’idea che ti eri fatta di me? Forse avrei dovuto continuare a fingermi un sommelier di studentesse vergini.» «Io non sono una studentessa.» La risposta esce da sola, senza che io possa controllarla. «Non sono neanche vergine.» «Allora è perfetto, perché sei esattamente il mio tipo.» Hunter solleva l’angolo della bocca e ritorna scazzato come prima. «Siamo fatti l’uno per l’altra.» Mi libero dalla sua presa e lo mollo lì, vicino alla bitta, a sguazzare nella sua boria. «A Sydney ci sono migliaia di ragazze con questi requisiti.» «Sì, ma nessuna è come te.» Lascio che mi raggiunga, che si piazzi di fronte a me nel tentativo di bloccarmi la strada, e incrocio le braccia al petto. Questa volta non mi frega. «E come sarei?» Hunter mi sfiora il viso. «Sei abbastanza. Sei molto più di abbastanza, per me.» Oh, no. No, no, no. Mano, non cingergli il fianco. Altra mano, non accarezzargli la schiena. Occhi, non guardatelo così. Respiro, non spezzarti. Cuore, non battere così forte. Bocca, non cercare la sua. Per favore, corpo: ascolta il cervello. «Hunter, stai firmando la tua condanna a morte» sussurro. Spero che la mia voce sia abbastanza minacciosa. «Non costringermi a buttarti in mare.» La sua bocca si apre in un sorriso irriverente. «Stai per cedere? Dov’è finita tutta la tua tenacia?» Vorrei saperlo anche io. Per fortuna è sufficiente a farmi rinsavire. Mi allontano con un gesto rapido e liscio il vestito. «Potresti riaccompagnarmi a casa? Domani lavoro e non vorrei addormentarmi sulla scrivania.» Hunter sembra spiazzato, poi ritorna in sé. S’incammina verso la festa e tiene le mani in tasca. «E quindi hai detto di essere una giornalista.» «Sì, scrivo articoli per una rivista femminile.» «E di che cosa parlerai nel prossimo?» Esiste un modo per cancellare gli ultimi trenta secondi di conversazione? No, vero? Prendo fiato. Mi fa schifo dovergli mentire dopo quello che abbiamo appena condiviso, ma è necessario. «Delle cinque cose più strane e divertenti da fare a Sydney.» farfuglio. Di questa roba dovrebbe occuparsene Poppy, se non sbaglio. «Cose che in pochi conoscono, nulla di mainstream. Le lettrici sono stanche di sentirsi consigliare sempre le stesse attività, come le visita al Taronga Zoo o al museo d’arte contemporanea.» «Hai già fatto l’elenco?» «Oh, be’, no. Non ancora.» Hunter si blocca e mi fissa con aria di sfida. «Sienna, ti va di fare qualcosa di diverso?» Avvampo. «Eh? No. Scordatelo. Niente cose a tre, tanto per cominciare. Né con un’altro uomo, né con una donna. Dimentica le corde, le manette e le fruste. Niente solletico, niente torture, niente fesserie assurde con i piedi, la calzamaglia, e… sono allergica al lattice. Tienine conto.» Lui aggrotta le sopracciglia, poi si volta e scoppia a ridere. Si piega in due, come se dovesse vomitare, si tiene la pancia e io mi sento morire. Ho appena fatto una figura di merda colossale. «Intendevo andare via da questa festa e mostrarti di persona quali sono le cinque cose più strane e divertenti da fare a Sydney. Che cazzo… hai pensato che ti stessi proponendo di fare un’orgia? Di ficcartelo in qualche buco inesplorato?» Signore, abbattimi con un colpo solo. «Sei tu quello che parla sempre di sesso!» So che la mia giustificazione non regge, ma devo fare un tentativo. «Scusa tanto se ormai ci ho fatto l’abitudine.» «Avanti, vieni.» Alla sua mano destra tesa verso di me, restituisco un’occhiata gelida. Lui fa roteare gli occhi. «Vieni con me in un posto diverso da questo.» Specifica, marcando le ultime parole. «Non ti sto invitando ad avere un orgasmo seduta stante.» Stringo le labbra per non ridere. Non gli darò questa soddisfazione. «Non riusciresti a procurarmene uno neanche nella maniera tradizionale. Ragazzino.» «Magari più tardi proverò a dimostrarti il contrario.» «Neanche morta.» Afferro la sua mano e Hunter sogghigna. «Ti prometto, Sienna Nolan, che domani mattina non avrai solo il tuo elenco, ma ti sarai anche innamorata di me.» PEZZI DI SCENE TAGLIATE: “ballo”Motivo della rimozione dal romanzo: la scena era poco coerente con lo sviluppo successivo della storia. «Shark,» lo sfotto, «hai appena firmato la tua condanna a morte.» Lui si volta, lancia la bottiglia di birra vuota in un fusto di ferro arrugginito, e incrocia le braccia dietro al capo. «Cazzo, adesso sì che sono spaventato» sghignazza. «Non costringermi a umiliarti davanti ai tuoi amici.» «Wow, ma allora ce le hai le palle, Miss Nolan!» «E sono ben più grosse delle tue.» Intorno a noi si è formata una piccola cerchia di ragazzi che ci osservano. Qualcuno fischia e batte le mani, altri estraggono i cellulari e ci riprendono, come se fossimo sul punto di scatenare una rissa. Mi scolo tutta la birra al colpo, con buona pace del mio stomaco, lancio la bottiglia all’indietro e la sento finire in mille pezzi. In un attimo sono tornata all’adolescenza, alla sala giochi e alle sfide a Dance Dance Revolution. Poso le mani ai fianchi e Hunter inizia a camminare avanti e indietro. «La mia amica, qui di fronte a me,» urla in modo che tutti sentano, «è convinta di essere la migliore solo perché ha trent’anni.» Dai, questo però poteva risparmiarselo. Dalla folla si leva un applauso. «Io sono migliore di te, ragazzino.» Tutte le donne presenti nell’arco di venti metri alzano i pugni al cielo ed esultano. Faccio loro l’occhiolino e mi volto verso il nemico. «Vuoi la dimostrazione?» «Oh, non vedo l’ora.» «Non ti consolerò quando ti metterai a frignare come un bebè.» Hunter morde il labbro inferiore. Se vuole togliermi la concentrazione… be’, è il modo giusto. «Voglio essere clemente con te. Sono sicuro che tutti siano d’accordo. Ti lascio scegliere la canzone.» «Ostenti troppa sicurezza, Shark.» «Approfittane. Non avrai una seconda chance.» Giro sui tacchi e vado dritta verso il palco. Sono sicura che Hunter mi stia guardando il sedere. Incedo con una sicurezza che credevo di avere perso da qualche parte e afferro il DJ per un braccio. Lo strattono, gli intimo di mettere la musica che ho scelto e poi, non contenta, salgo sul palco. Non sopporto quando qualcuno mette in dubbio le mie capacità. Lo ha fatto Sabine Bergmann a Temptation e non permetterò che un manipolo di ventenni fumati mi facciano sentire decrepita. Ai tempi dell’università ero l’anima delle serate tra ragazze, quella di cui tutti parlavano quando raccontavano gli aneddoti, l’unica rimasta nei ricordi di tutti. Strappo il microfono al cantante della band, che si è distratto per sostituire una corda della chitarra, e dagli amplificatori si dirama un fischio insopportabile. Spero che la mia voce sia abbastanza minacciosa. Punto l’indice in avanti, come se volessi schiacciare una mosca ferma contro un vetro, e assottiglio lo sguardo. «Hunter, sei un uomo morto.» Su buona parte della folla cala il silenzio. Perfetto, era quello che ci voleva. Sbatto il microfono tra le mani di un allibito membro del gruppo e scendo i gradini con la sicurezza di una modella di Victoria’s Secret. Appena arrivo di fronte a Hunter, mi sgranchisco le braccia e le faccio roteare in aria. Mi sto preparando per tappargli definitivamente la boccaccia. «Cos’hai scelto? Un valzer viennese? Una bella mazurca per tutte le brave signorine di buona famiglia come te?» Non vedo l’ora che gli si spenga quel sorrisetto strafottente che ha in faccia. Mi posiziono di fronte a lui, a circa due metri di distanza, e socchiudo le palpebre. Ho bisogno di concentrazione. Potrei essere arrugginita, anche se quando sono in casa da sola ripasso la coreografia con il gatto che mi guarda e mi compatisce, per richiamare i vecchi tempi. Lo sto facendo davvero. Le prime note di You Never Can Tell si liberano nell’aria e io lo sto facendo davvero. Sto per ballare come Uma Thurman in Pulp Fiction in mezzo a una folla di curiosi. Quando sento la voce di Chuck Berry accarezzare la prima strofa, svuoto la mente e una scarica elettrica mi attraversa. Tengo gli occhi fissi in quelli di Hunter, divertiti e stupiti, e muovo braccia e gambe a ritmo di twist. Piede, ginocchio, anca, fianco, braccia e mani. Non ho più trent’anni. Ne ho diciassette e sono al ballo di fine anno, nella palestra del liceo, da sola. Fottutamente sola, perché quanto è vero che so danzare, tanto è vero che nessuno mi ha mai accompagnata. Non ho mai avuto un cavaliere. Chi avrebbe mai voluto presentarsi all’evento più ambito della scuola con una come me? Magra, sempre vestita da maschiaccio, troppo appassionata di libri e troppo poco di gossip. Sono una di quelle che è sbocciata tardi. Molto tardi. All’università, quando ho capito che quelle come me le feste le comandavano. Ma questa, accidenti, è la mia rivincita. Mentre i suoni marcati della canzone fluiscono dagli amplificatori, mi prendo quello che mi è sempre stato negato: il ragazzo più sexy del liceo che balla con me. Con la studentessa che nessuno ha mai pensato di eleggere come reginetta. Hunter mi raggiunge muovendosi come John Travolta. Sfacciato, irriverente e anche un po’ scazzato. Ci sa fare, saltella sulle punte dei piedi e segue le mie mosse, tiene la lingua in mezzo ai denti. PEZZI DI SCENE TAGLIATE: “riunione”Motivo della rimozione dal romanzo: troppo surreale per essere credibile. «Sono tutti in sala conferenze, CC. Ti senti bene?» «Tu che cosa dici, Roy? Secondo te sto bene?» Il correttore di bozze di Temptation dà un colpo alla montatura degli occhiali e li rimette sull’osso del naso. Odio avergli rifilato una rispostaccia, anche se la merita come punizione per tutte le avance fuori luogo fatte a Poppy. Non è colpa sua se mi sono cacciata in questa situazione. Mentre tremo per il freddo, raccolgo tutto quello che c’è sulla scrivania. «La Bergmann è arrivata solo da cinque minuti, è probabile che stia bevendo il caffè, forse la riunione non è ancora iniziata. Stai calma.» «Calma? La Gestapo vuole la bozza del mio articolo di febbraio e ho scritto dieci righe, cazzo.» Do un calcio alla poltrona girevole, che tra poco diventerà il trono di BloodyBarbie, e osservo i grattacieli che svettano oltre le finestre rigate di pioggia. È il caso che vada direttamente a buttarmi di sotto? Sono in ritardo, senza materiale da presentare, vestita con stracci umidi e mezza raffreddata. Roy si gratta il capo e un po’ di forfora gli cade sulle spalle. «Prendi questi.» Mi porge un plico di fogli. Sono una decina, pinzati tra di loro senza criterio. «Quando ero all’università consegnai al professore di letteratura una relazione identica alla precedente. Avevo cambiato solo i soggetti dello studio. Non le leggeva neanche, perché avrei dovuto impegnarmi come un pazzo per scrivere qualcosa di innovativo?» «Che stai dicendo?» «È che a volte ci preoccupiamo troppo, tutto qui. Ritorno in ufficio, ho del lavoro da sbrigare. Buona fortuna, CC. Ah, salutami Poppy, dille che sono sempre disponibile come amante a tempo indeterminato.» Potrei vomitare. «Credo sia il caso che tu vada.» Assottiglio lo sguardo e studio la sua andatura molleggiata. Trenta secondi dopo sono di nuovo da sola a fare i conti con il casino in cui mi sono cacciata. Afferro il plico di fogli e mi tuffo nel silenzio spettrale del corridoio. Con l’ascensore ci vorrà troppo tempo, meglio fare le scale, e poi forse Roy aveva ragione: magari la Bergmann si è svegliata col piede giusto, sta bevendo un caffè e mi accoglierà con un sorriso. Corro a perdifiato, i capelli fradici che schioccano contro le guance e il collo, le gocce d’acqua che colano sulla carta. Che importa se sono solo vecchi fogli con appunti di Roy? Non li leggerà nessuno. Sarà l’ennesima bugia, ma almeno dimostrerò a tutti che sto lavorando, che ho già una decina di pagine pronte per essere tagliate, corrette e revisionate. «Merda!» Sono già tutti chiusi in sala conferenze. Li vedo muoversi oltre il plexiglas zigrinato. E adesso che diamine faccio? Spalanco la porta e mi getto ai piedi della Bergmann chiedendo perdono? Mi viene da piangere. All’improvviso, dal corridoio sbuca una delle stagiste con un vassoio di bevande calde tra le mani. Perfetto. Entrerò con lei, dietro le sue spalle, e nessuno si accorgerà di me. In due secondi mi sistemerò al solito posto, tra Poppy e la tirocinante del secondo piano, e fingerò di essere sempre stata lì. «Ehi, Cora,» bisbiglio, «aspetta, vengo con te.» La stagista occhialuta si blocca e annuisce. «Sì, Miss Nolan. Ma che c-cosa ha f-fatto?» «Domanda di riserva?» Ci avviamo verso la sala conferenze e credo che il mio cuore abbia smesso di battere. Dovrò ringraziare Dio votando la mia vita a lui se questo piano funzionerà. Le dita di Cora circondano la maniglia, l’ingresso si apre e tutto sembra andare come previsto. Né la Bergmann, vestita con un orrenda giacca color cachi, né il resto dei colleghi si accorgono della mia presenza. Sono concentrati sul proiettore, che fa mostra della copertina provvisoria di febbraio. «Rimpicciolite la testa di Billie Eilish, sembra un macrocefalo! Chi è il criminale che ha esagerato con Photoshop? Il visual è sproporzionato rispetto al titolo e la testata è eccessivamente oscurata. Manca la coerenza di linguaggio, non c’è una linea editoriale forte, l’interazione è pietosa.» Alla faccia del buonumore. La Bergmann è una iena questa mattina, addirittura peggio del solito. «C’è un refuso nel sommario. Che vi prende? Pensate di essere al parco giochi?» Cora si avvicina al tavolo e le tremano così tanto le mani che rischia di rovesciare tutto. Ne approfitto per mettermi a carponi e strisciare verso la mia postazione. Vedo le scarpe rosse di Poppy, ancora un paio di metri e sarò da lei. Quando la direttrice sarà girata, mi sistemerò al solito posto e sarà come se non fossi mai arrivata in ritardo. «Il tema grafico del servizio sul lavoro dei sogni è orrendo. Chi ha deciso i colori andrebbe torturato. Ridisegnate tutto il layout perché…» Un tintinnio penetrante e cristallino taglia a metà la sala conferenze. Un istante dopo, il suono si ripete. Ci metto qualche secondo di troppo per accorgermi che gli occhi dei miei colleghi sono tutti puntati su di me, compresi quelli porcini e furibondi della Bergmann: stanno guardando una deficiente a quattro zampe sul pavimento, col culo per aria e la rispettabilità sottoterra. «Sienna!» Oh, no. Quella che ho appena sentito è la voce di BloodyBarbie. Inspiro, ricaccio il magone in gola e balzo in piedi con il plico di fogli tra le braccia. Questo è uno dei momenti più imbarazzanti della mia vita. Ho toccato il fondo. «A quanto pare hai due notifiche.» Diamonique mi guarda con… è ammirazione, quella? Sul serio? «Ti ho tenuto il posto accanto a me.» Batte la mano sulla poltrona vuota tra lei e Poppy, che mi osserva scioccata. Giro il collo con lentezza, per ritardare il momento in cui la mia faccia colpevole incontrerà quella della direttrice. «Scusate, il taxi si è fermato a tre isolati da qui e sono stata costretta a correre sotto la pioggia» biascico. Non è male come scusa, poteva andare peggio. «Nolan.» Okay, scherzavo. Non può andare peggio di così. La Bergmann toglie gli occhiali a punta, piega le aste e li infila nel taschino della giacca. «So che la tua permanenza nella redazione di Temptation ha le ore contate, ma potresti almeno cercare di mostrare un briciolo di interesse per questo lavoro? Dov’è il tuo articolo, tanto per cominciare?» «È in fase di stesura.» «Andiamo in stampa tra due settimane.» «Ora che ci penso, l’ho quasi ultimato. Ho qui la bozza.» Sventolo il plico di fogli che mi ha dato Roy ed esibisco il mio miglior sorriso rassicurante. «Ho tutto sotto controllo, Mrs Bergmann.» Dietro di me sento le risatine di sfottò dei miei colleghi. Mi volto e li fulmino. Ritornano seri giusto il tempo di un sospiro. Li sento mormorare e sibilare come se non fossi nemmeno qui. Con loro farò i conti dopo, ora m’importa solo di convincere la direttrice della bontà delle mie azioni. Solleva un sopracciglio, mi squadra dalla testa ai piedi e trasalisce. «Interessante questa tua nuova… com’è che dite voi? Partnership. Collaborazione.» Dovrei sapere di che cosa sta parlando? Se le chiedo spiegazioni, farò la figura della distratta cronica. Mi limito ad annuire. «Sì, be’… questa specie di joint venture è nata…» Sparo le prime parole a caso che mi vengono in mente. «È nata dall’esigenza di testare le mie capacità sul campo. La mia manualità e le mie doti oratorie. Non a caso l’orale è sempre stato il mio forte.» Il grafico di Temptation sputa il caffè bollente al centro del tavolo. Con la coda dell’occhio osservo Poppy: è sconvolta. Le servirà un trattamento sanitario obbligatorio. Ho detto qualcosa di sbagliato? «Sai cosa apprezzo di te, Nolan?» La Bergmann incrocia le braccia al petto e gironzola avanti e indietro di fronte al proiettore. «La faccia tosta. E il tentativo inopportuno di metterti al passo con i tempi. Discuteremo dopo della tua partnership con PornHub, ora siediti e cerca di non combinare disastri per i prossimi venti minuti.» «PornHub?» «Non farmi perdere altro tempo.» Seguo la traiettoria del suo sguardo e abbasso gli occhi sul mio petto. Lancio un gridolino strozzato non appena mi rendo conto di quello che c’è stampato sulla felpa ancora bagnata: PORNHUB OFFICIAL AMBASSADOR. Ho vagato tutta notte per le strade di Sydney con addosso il logo del sito pornografico più famoso al mondo. Ecco perché il tassista ammiccava dallo specchietto retrovisore! Hunter. Lui mi ha prestato questa maledetta felpa. È colpa sua. Mi accascio sulla poltrona tra Poppy e Diamonique. Mi sembra di avere appena subito un reset del cervello. Osservo il vuoto, le gocce di caffè sputate dal grafico che nessuno ha asciugato, e rinsavisco solo quando la mia migliore amica mi rifila una gomitata nel costato. In sottofondo c’è solo la voce dell’impaginatore che spiega come sarà strutturata l’intervista a Billie Eilish. «CC, ma che hai combinato?» sussurra Poppy. «Come ti sei conciata? Si bagnata come un pulcino.» «È colpa di Hunter, ho passato la notte con lui.» «E me lo dici così?» Alcuni colleghi ci guardano stizziti. Poso una mano sul suo braccio e le intimo di parlare sottovoce. Ho così sonno che le palpebre faticano a restare aperte. «Non è successo niente, ci siamo solo…» È normale sentirsi come un’adolescente che racconta alla migliore amica del suo primo bacio? «Abbiamo visitato la città.» «Voglio tutti i dettagli.» «Più tardi, okay? Pranziamo insieme con Ariane.» Poppy annuisce esaltata. «Prenoto subito da Blackbird.» Riporto l’attenzione sulla Bergmann e sul proiettore alle sue spalle. La riunione è partita con il piede sbagliato, ma sono sicura che riuscirò a portare a termine il mio piano. Dedicherò i prossimi giorni alla stesura dell’articolo, senza distrazioni, e riavrò la mia scrivania. Questa non sarà l’ultima copertina di cui discuterò, lo giuro. «Dobbiamo svecchiarci, dobbiamo essere al passo con i tempi. Ecco perché abbiamo scelto Billie Eilish e non Nicole Kidman per l’intervista di questo mese. Temptation sarà una rivista moderna, innovatrice e… com’è che si dice, qui? Post-Millenial. Una nuova identità culturale che abbraccia la generazione Z.» All’improvviso, BloodyBarbie balza in piedi e batte le mani. Il suono fastidioso delle sue dita che schioccano mi perfora le meningi. Non ho ancora capito perché sia qui e quale apporto positivo possa portare, so solo che vederla di prima mattina è repellente, soprattutto se le ore di sonno equivalgono allo zero spaccato. «La generazione Z è quella a cui appartengo io, e sono esperta di tendenze.» La direttrice abbassa gli occhiali sulla punta del naso e la osserva in tralice. Se qualcun’altra avesse osato interromperla, le avrebbe staccato la testa a morsi. Alla reginetta di Instagram, invece, tutto è concesso. «Fai parte della redazione, Diamonique. Se hai idee, esponile.» È tanto brutto sperare che dica qualcosa di stupido? «Se volete parlare ai ragazzi della mia età, non potete scrivere gli articoli in latino.» Speranza appena trasformata in realtà. Ottimo. Roteo gli occhi verso sinistra e guardo Poppy, che ricambia perplessa. «Infatti li scriviamo in inglese» prorompe la tirocinante. «La lingua più conosciuta al mondo.» Diamonique afferra il plico di fogli che mi ha dato Roy e si schiarisce la voce. «Allora perché l’articolo di Sienna Nolan è scritto in latino? Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit, sed do eiusmod...» Mi arrampico sul tavolo per strapparle le pagine di mano, ma lei è più veloce e si scosta. «Ferma!» «Ut enim ad minim veniam, quis nostrum exercitationem…» «Non ti ho dato il permesso di prendere i miei appunti!» «Come fa a capirti chi non ha studiato il latino?» «Non è latino, razza di… di…» La Bergmann sbatte una mano sulla superficie del tavolo e in sala conferenze cala un silenzio tombale. Mi volto lentamente, i capelli umidi e spettinati incollati alla faccia, e incontro i suoi occhi furibondi. «Dimmi che non hai davvero riempito quei fogli con del testo segnaposto e hai finto di avere una bozza pronta.» Abbasso lo sguardo sul plico di Roy. Avrei dovuto pensarci prima. Sono dei bozzetti colmi di parole fittizie, per dare l’idea dell’impatto estetico degli articoli. Un rivolo di sudore mi cola lungo la schiena. «Ho confuso le cartelle… ho preso questa per errore,» borbotto confusa, «la mia è rimasta a…» «DU BIST WIE EINE FLIEGE IN DEN ARSCH!» «Non è un complimento, vero?» «Ha detto che sei come una mosca dentro al buco del culo» sibila il grafico. Gli mollo uno sguardo infastidito e lui fa spallucce. «Che c’è? Ho vissuto un anno in Germania.» La Bergmann esibisce un sorrisetto che puzza tanto di “lo sapevo che saresti stata una delusione”. «Estendiamo l’intervista a Billie Eilish e occupiamo anche le pagine in cui avrebbe dovuto esserci l’articolo di Nolan.» «Cosa? Non può farlo! Mi sto impegnando per confezionare qualcosa di rivoluzionario, ho solo bisogno di riordinare le idee.» Devo essere ridotta proprio male se sono arrivata al punto di implorare la direttrice di fronte a tutti. Non mi sono tuffata in un’inchiesta sulla differenza d’età per vedermi chiudere la porta in faccia. Quello che ho combinato con Brandon e Hunter non può e non deve essere vano. Ho buttato la mia rispettabilità dalla finestra, santo cielo! «Rivoluzionario? Dubito che tu conosca il significato di questa parola.» «La prego, si fidi di me.» Lei avanza e mi raggiunge. Si avvicina così tanto che mi costringe a inclinare il capo all’indietro. «Se non mi consegnerai l’articolo finito entro venerdì prossimo, ti taglierò fuori dal numero di febbraio. È una promessa.» «Avrà tutto il materiale. Glielo giuro.» «Staremo a vedere. »La Bergmann arriccia il naso e si scosta. «E lavati i denti, Nolan. Puzzi di cipolla.» Porto la mano di fronte alla bocca e alito contro il palmo. Be’, non sarà paragonabile a Chanel N°5, ma non è così fetido. Poppy mi tira la manica della felpa e mi costringe a sedermi. La riunione prosegue e si conclude con un’analisi dei dati di vendita. Cerco di concentrarmi, ma i miei pensieri sono tutti occupati da Hunter e dalle sue labbra contro le mie. Usciamo dalla sala conferenze che la pioggia ha smesso di cadere sulla città. La Bergmann se ne va e lascia dietro di sé una scia di sconforto e malumore. Faccio un passo in direzione di BloodyBarbie, pronta per farla fuori, quando Poppy mi blocca. «CC, ricorda che lei fa parte del piano. Ci serve per rendere virale il tuo articolo.» «Mi ha fatto fare una figuraccia con la direttrice editoriale, non può passarla liscia.» «Stai parlando di una convinta che i nostri articoli siano in latino.» «Potrei insultarla citando Cicerone.» «Sarebbe fiato sprecato. Attieniti alla scaletta del programma.» Diamonique ci raggiunge con il suo costoso smartphone tra le mani. Giuro che se ci chiede di fotografarla glielo butto dalla finestra. «Regola numero uno delle collaborazioni con le aziende» squittisce. «Devono essere in linea con la tua immagine. Non so che pubblicità possa fare una come te a PornHub, dai l’idea di una donna che non fa sesso da secoli. Posso consigliarti di cambiare brand? Oh, giusto! Proprio ieri ho rifiutato una proposta da parte di una startup che produce mutande contenitive per perdite urinare. Faccio subito il tuo nome all’ufficio marketing.» Tolgo subito la felpa di Hunter e la allaccio in vita. Il vestito sotto è tutto bagnato, ma almeno la gente smetterà di farsi strane idee. «Non farai un bel niente.» «È per aiutarti a crescere sui social!» «I social non sono la vita vera.» «Se non ti metti al passo coi tempi non verrai assunta a Cosmopolitan.» Questa raffica di parole sparate di prima mattina è insostenibile. La sala pausa sarà la mia scialuppa di salvataggio. Prendo tre tazze dalla credenza e verso un po’ di caffè in ciascuna. Noto con dispiacere che BloodyBarbie ha già la sua, personalizzata con nome d’arte in stampatello, cuoricini e faccine. «È ancora convinta che sia tu a voler cambiare lavoro» ringhia Poppy, facendo in modo che solo io possa sentirla. «Continuiamo a farglielo credere.» Le labbra di Diamonique, frutto di un lavoro approssimativo del chirurgo estetico, si piegano in un sorriso innaturale. «Selfie tra colleghe?» «Eh?» «Devo mostrarvi ai miei follower. Polly, mettiti alla mia destra.» «Poppy.» «È uguale. Sienna, tu alla mia sinistra. Giratevi di spalle e sporgete un po’ il sedere verso la fotocamera, come se steste twerkando.» Dalla gola mi esce un verso strozzato. «È uno scherzo?» «Le foto in cui il fondoschiena è ben visibile sono quelle che raggiungono il maggior numero di interazioni. E poi indosso questi favolosi jeans che vorrei pubblicizzare.» Grazie di nuovo a tutt* per il sostegno, la fiducia e l'affetto dimostrato, sia nei miei confronti che in quelli del mio lavoro!
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Paola ChiozzaAutrice di romanzi di narrativa femminile. Appassionata di libri, grafica e social network. ArchiviCategorie |